Lei conosce Arpad Weisz?

Martedì 17 gennaio 2023
Sala Guido Fanti sede dell’Assemblea Legislativa Emilia-Romagna
Reading tratto dal libro “Dallo scudetto ad Auschwitz”, di Matteo Marani
con Consuelo Battiston e Leonardo Bianconi, per la regia di Gianni Farina
a cura della compagnia Menoventi – prodotto da E-production – organizzato dall’associazione culturale narrandoBO


Per la GIORNATA DELLA MEMORIA, la Regione Emilia-Romagna ha organizzato un evento molto toccante con una storia a me, e credo a molti,  sconosciuta. E’ la storia di Arpad Weisz, uno dei grandi personaggi sportivi degli anni 30. Weisz era un calciatore e poi allenatore, Ebreo-Ungherese che con l’Ambrosiana-(Inter) ha vinto il primo scudetto della Serie A (a girone unico) e altri 2 titoli nazionali col grande Bologna. Sempre con il Bologna ha vinto il Trofeo delle Esposizioni (la Champions League dell’epoca), conquistato contro i maestri del Chelsea.
Il 26 ottobre 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali, Arpad fu costretto a lasciare la guida del Bologna. A lui e ai suoi famigliari non fu più permesso di vivere in Italia in quanto ebreo. Nel 1939 si rifugiò in Francia  e poi  in Olanda, dove allenò la squadra locale, il DFC. In seguito all’occupazione tedesca dei Paesi Bassi, il 2 agosto 1942, la famiglia Weisz venne arrestata dalla Gestapo e portata nel campo di raccolta di Westerbork. Nel mese di ottobre dello stesso anno i quattro vennero caricati su un treno, destinazione Auschwitz, in Polonia. Dopo tre giorni di viaggio in condizioni inumane, Arpad venne dirottato ai lavori forzati, mentre la moglie Elena e i figli Roberto e Clara raggiunsero Auschwitz-Birkenau, dove vennero subito eliminati in una camera a gas. Arpad Weisz ha resistito fino al 31 gennaio 1944, quando è morto di stenti dopo atroci sofferenze.

La guerra e i ricordi di Chernobyl

In questi giorni succedono cose che non avremmo mai voluto vedere… La Guerra e tante persone che ne avrebbero fatto volentieri a meno costrette a fuggire dalle loro case, ad abbandonare gli affetti più cari e a rischiare la vita. Guardo attonito le scene che passano continuamente in televisione e considero sull’assurdità della guerra che costringe popoli vicini che non avrebbero nessun motivo per scontrarsi costretti a sentirsi nemici quando per tanti anni si è stati lo “stesso popolo”. Ho conosciuto questa gente un decennio fa quando ho partecipato al Progetto di accoglienza dei bambini colpiti dalle radiazioni di Chernobyl. Le radiazioni non hanno riconosciuto i confini… la centrale nucleare era in Ucraina ma ha colpito gravemente anche la Bielorussia e tanti paesi europei. Guardo per televisione le facce dei bambini che vengono in Europa e in Italia dalle zone dove c’è la guerra e mi sembra di rivedere gli stessi bambini che per tanti anni sono venuti da noi dalla Bielorussia. Venivano pieni di entusiasmo e desiderosi di conoscere un mondo diverso e sperare in un mondo migliore. La nostra speranza era sì di aiutarli dal lato sanitario ma anche quella di trasmettere loro dei principi che li avrebbero aiutati nel prosieguo della loro vita. Denis, uno dei bambini che abbiamo ospitato in quegli anni, si era legato molto alla nostra famiglia e a volte scherzando declamava i nomi dei componenti della famiglia ai quali aggiungeva il suo e anche quello della sua mamma!
Sono stato in Bielorussia diverse volte e i villaggi che visitavamo erano a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina e probabilmente ai tempi dell’Unione Sovietica il confine era praticamente inesistente. Le persone si frequentavano, lavoravano insieme, intrecciavano dei rapporti sentimentali, si sposavano e vivevano insieme. Allora perché la guerra?
Alcune delle risposte sono: L’Ucraina vuole entrare nella Nato e la Russia non può accettarlo! La Russia considera parte dei territori dell’Ucraina come territori che dovrebbero appartenere alla Russia! L’Ucraina vorrebbe entrare in Europa! Putin vuole dimostrare la potenza della Russia… e altro ancora.
Intanto la gente muore o nella migliore delle ipotesi e costretta ad abbandonare la propria casa e scappare lontana verso un avvenire che sarà sempre più incerto. E i bambini costretti a vivere un’esperienza che li segnerà per tutta la vita…

Ho fotografato questi due disegni, fatti dai ragazzi, in una scuola della provincia di Gomel. Sono di qualche anno fa ma lo stesso di triste attualità…

Sotto alcune foto di bambini, sono bambini bielorussi ma penso che i loro visi sono gli stessi dei bambini dell’Ucraina…

© Testi e foto di Salvatore Lumia – Riproduzione riservata

Robert Capa in mostra a Modena con le sue foto a colori

Devo dire, sinceramente, che sono andato a visitare questa mostra con molto scetticismo. Per molti di noi Capa è un grande fotografo di guerra e alcuni sue foto sono diventate importanti icone. Dopo aver visto la mostra lo scetticismo è rimasto perché l’impressione che ho avuto è che Capa abbia affrontato gli anni del primo dopoguerra con l’atteggiamento di chi scattava le foto perché bisognava pur lavorare… Alcune foto sono belle, documentano il desiderio di tornare alla normalità dopo la seconda guerra mondiale, ci sono dei bellissimi ritratti di bellissime donne ma nulla a che vedere con le foto come la “Morte d’un miliziano” scattata durante la Guerra di Spagna oppure quella che ritrae un contadino siciliano che dà indicazioni a un soldato americano nell’agosto del 1943 dopo lo sbarco degli americani in Sicilia.

Il lockdown

Comincia il 2020 (che gli astrologi ci avevano assicurato essere un anno pieno di cose belle) con tanti progetti e all’improvviso ti trovi chiuso in casa per combattere un nemico invisibile ma molto temuto: il “Covid 19”. Se ne parlava da un po’, in Cina c’erano molti casi ma sembrava che a noi la cosa non interessasse ed invece eccoci chiusi in casa! 
Cosa facciamo, abbiamo tante cose da fare, avevo programmato con alcuni amici un Cammino in Toscana sulla via Francigena, avevamo un paio di viaggi prenotati, ho la campagna da coltivare e invece sto chiuso in casa. Con Gabriella abbiamo cominciato ad organizzarci le giornate, la nostra casa è abbastanza grande ed adesso siamo da soli. Al mattino, soprattutto i primi giorni, pulizie straordinarie poi ginnastica seguendo un video su YouTube e pomeriggio ognuno si dedicava ai suoi hobby. Gabriella preparava il pane con il lievito madre, tanti dolci e piatti appetitosi. Bisognava stare attenti a non esagerare. Certe volte andavo a camminare o corricchiare in cortile (250 mt circa). Sono riuscito a fare 6 km. Nel frattempo mi sono ricordato delle mie diapositive, frutto di tanti anni di fotografia analogica e allora ho cominciato a scansionarle per averle in digitale. Lo scanner funzionava tutto il giorno, ogni tanto mettevo delle nuove diapositive e andavo avanti (alla fine ho scansionato circa 3000 immagini). La cosa bella è che ogni tanto venivano fuori foto che non vedevamo da tanto… Foto di quando eravamo giovani, foto della famiglia, dei bambini, delle tante vacanze fatte insieme, dei momenti felici, delle persone care che non ci sono più. Tornavamo a rivivere con la mente le emozioni di quei momenti e tanti episodi o aneddoti che le immagini fanno tornare alla mente. Ogni giorno mandavo, con WhatsApp, ai figli o ai miei fratelli le foto che mi sembravano più interessanti e anche con loro rivivevamo i ricordi. Le videochiamate con i figli ce li facevano sentire meno lontani! Ogni tanto mi mettevo a scattare delle foto in casa, facevo degli esperimenti, mischiavo olio, acqua, detersivo colorato e scattavo delle foto… facevo cadere delle gocce di acqua sulle piante in terrazza e scattavo delle foto ravvicinate, poi le ritoccavo ed elaboravo al computer. Le giornate passavano senza che ci annoiassimo. La sera solitamente guardavamo un film. Abbiamo letto diversi libri. I notiziari (che sembravano bollettini di guerra) li ascoltavamo ma senza esagerare, rifuggivamo dai dibattiti dove si dicevano più o meno sempre le stesse cose. Avevamo scoperto la possibilità di farsi consegnare la spesa a domicilio. Col passare delle settimane ho cominciato ad avere nostalgia della campagna, pensavo a tutte le cose che avevo seminato e che avrebbero avuto bisogno di cura. La campagna era di mio padre che l’aveva comprato quand’era andato in pensione. Adesso, da pensionato, ci vado io. E’ una valvola di sfogo ma anche la possibilità di avere sulla tavola dei prodotti genuini. La prima volta che ci sono andato ho avuto la bella sorpresa di trovare tante cose. L’orto anche senza le mie cure mi ha fatto trovare insalata, cicoria, bietole, fave… Ho raccolto un po’ di cose e sono tornato a casa orgoglioso. Forse si ricominciava a tornare alla vita normale!

ESPERIMENTI FOTOGRAFICI DURANTE IL LOCKDOWN

Foto e racconti a Quattro Mani

Finalmente è uscito il libro «Foto e racconti a quattro mani»!

E’ un libro che ha bisogno di essere sfogliato, direi annusato. In questo caso non ci sono PDF, Epub, ecc. Bisogna sfogliarlo. La carta usata (patinata opaca da 200 grammi) a mio parere fa risaltare i testi e le foto e da corpo al volumetto.

Voglio raccontare le mie sensazioni e le mie emozioni quando Maria Grazia ha cominciato a scrivere il primo racconto-commento sotto una mia foto su facebook. 
Mi è piaciuto molto ed è lì che è scattata la scintilla. 
Mi è piaciuto il taglio che ha voluto dare ai racconti e l’idea che sia stata Lei a scegliere le foto da commentare senza che io provassi mai a influenzarla nella scelta di un’immagine. 
Maria Grazia è un’artista, il suo curriculum e la sua produzione sono incredibili. Il fatto che abbia deciso di scrivere sulle mie fotografie mi riempiva d’orgoglio. 
C’è voluto del tempo perché tutto era legato all’ispirazione che le stesse le procuravano. 
Era bello ogni tanto trovare sotto una foto un commento che io provvedevo subito a conservare insieme alla fotografia e da lì cominciava l’attesa per la prossima che a volte arrivava presto e altre volte si faceva aspettare magari più di una settimana.
I racconti sono tutti molto belli e soprattutto sono racconti che prendono spunto dalla fotografia ma poi costruiscono una storia, sempre creativa e fantasiosa. 
È la caratteristica della fotografia ed è la fotografia che più amo quella che ispira le storie…
Non ho ancora avuto il piacere di conoscere di persona Maria Grazia eppure mi sento legato a lei da amicizia sincera. Sarà la sicilianità che ci accomuna, sarà il suo carattere schivo e rispettoso, sarà infine la sua arte, la pittura, l’attività da sommelier, la scrittura, la fotografia che la rendono una persona affascinante!
Voglio infine ringraziare Teresa Di Fresco per la bella «Prefazione».

Salvatore Lumia

Per informazioni scrivetemi alla mail slumia51@gmail.com

La zia Liboria e il dipinto su vetro

La zia Liboria era una sorella di mio nonno. Da bambina aveva avuto la poliomelite ed era paralizzata da entrambe le gambe. Eppure, per molti anni, ha vissuto da sola e riusciva nonostante tutto ad essere autosufficiente. La sua casa era composta (come tante a quei tempi) da un unico locale con un soffitto a volta e, di fronte all’entrata, un’altra volta più bassa (alcova) dove c’era il letto. Si muoveva per casa facendo dondolare, con le braccia, una sedia abbassata in modo da poter toccare a terra con le gambe. Era una persona splendida, con due occhi vispi e un’intelligenza vivace. Tutti i nipoti e pronipoti eravamo legati a lei e frequentavamo la sua casa che in certi momenti si trasformava in un circolo di conversazione, di lettura o, ancor meglio, di pettegolezzo. Era molto curiosa, si interessava alle cose di tutti, agli innamoramenti e alle storie d’amore che a volte favoriva e agevolava. Viveva dell’aiuto dei fratelli, tra cui uno che viveva negli Stati Uniti, e che gli mandava periodicamente stoffe, abbigliamento e biancheria che lei riusciva a vendere ricavandone qualcosa. Aveva anche un piccolo podere che dava in affitto e anche questo gli procurava un utile che seppure modesto l’aiutava a vivere in modo dignitoso. La pensione e i sussidi per gli handicappati non arrivavano mai anche se ne avrebbe avuto tutti i diritti. Quando gli diedero una piccola pensione rimase riconoscente ad un onorevole siciliano (come se gli avesse fatto un piacere personale) che si era interessato al suo caso. Era già quasi anziana quando gli hanno assegnato una sedia a rotelle che non ha mai usato perché non ne era capace e preferiva continuare ad usare la sua sedia…
Era credente e, sulle pareti di casa, erano attaccati dei quadri, per lo più stampe, con raffigurazioni religiose.
Ce n’era uno diverso, a cui era molto legata, ed era un dipinto su vetro che raffigurava una Madonna. A noi sembrava molto bello, e probabilmente aveva qualche valore, visto che un giorno uno di quei personaggi che, proveniente dalla città, girava per le povere case alla ricerca di cose di valore da acquistare a cifre modeste.
Così il personaggio convinse la zia a vendergli il quadro. La zia Liboria anche se con il cuore pieno di dispiacere accettò la cifra e gli consegnò il dipinto. Solo, pochi istanti dopo, quando vide la parete vuota e l’uomo uscire con sottobraccio il quadro fu presa dal rimorso, cominciò a disperarsi e chiese ad un vicino di casa di correre dietro all’uomo e farsi riconsegnare il quadro contenta di restituirgli la cifra appena ricevuta per la compravendita. Fortunatamente l’uomo non fece resistenza e il quadro tornò al suo posto.

La storia del quadro mi è tornata in mente qualche anno fa quando a Palermo, in un museo, ne ho visto uno simile (che in questo caso però rappresenta Santa Rosalia) che ho fotografato e che pubblico a corredo di questo breve scritto.

La magia dei libri

UNA VITA CON I LIBRI, UNA VITA PER I LIBRI…

Ho sempre avuto voglia di leggere e da bambino ero un lettore vorace! Ero certamente facilitato dal fatto che nel mio paesino nel centro della Sicilia le distrazioni e le occasioni di svago erano poche. Sì è vero si stava molto per strada e si giocava in giro per il paese con gli amici ma la lettura era un’altra cosa! Leggere ti dava la possibilità di «conoscere», di viaggiare e di fantasticare! Leggevo di tutto e naturalmente molti giornalini a fumetti (Blek Macigno, Capitan Mick, Tex, Il Piccolo Ranger, Topolino, Zagor, ecc.). Leggevo anche libri che prendevo in prestito alla Biblioteca Comunale anzi per un po’ sono stato così assiduo frequentatore della biblioteca da diventare aiutante volontario della bibliotecaria! Andavo in biblioteca tutte le sere e conoscevo tutti i libri e la loro posizione all’interno degli scaffali. Avrei potuto continuare gli studi e sicuramente sarebbero stati letterari ma finito le medie mio padre mi ha detto che non avevamo le possibilità economiche per questo e così ho smesso di studiare e sono andato ad aiutarlo in campagna! Dopo un anno e visto che non mi rassegnavo, ho avuto la possibilità di frequentare una scuola professionale presso i Salesiani a Catania. Quando mi è stato chiesto che specializzazione volessi prendere non ho esitato ed ho esclamato: «Il linotipista»! Non sapevo bene cosa fosse, non avevo mai visto una linotype, avevo solo sentito i racconti di un amico più grande di me di qualche anno che frequentava la scuola tipografica a Palermo. Era il 1965. A quei tempi la tipografia era ancora quella tradizionale, rimasta praticamente immutata per quasi cento anni! Alla «Scuola Salesiana del Libro» ho preso dimestichezza con i «caratteri mobili» in piombo, con la composizione a mano, con l’impostazione grafica di un biglietto da visita, di un volantino ma anche di un manifesto funebre! I Salesiani prima di darti la possibilità di specializzarti (linotipista o stampatore) ti permettevano di conoscere l’intero ciclo di lavoro della tipografia (la composizione, la stampa e la legatoria). Il secondo anno si cominciava a prendere dimestichezza con la linotype. La linotype era stata inventata nel 1881 e permetteva di comporre una linea di caratteri (matrici) che permettevano la fusione di un’unica riga su una lega a base di piombo. Il linotipista doveva essere esperto nella battitura dei tasti della speciale tastiera, doveva conoscere le regole fondamentali dell’ortografia perchè la sillabazione era manuale! I testi dagli autori arrivavano per lo più manoscritti e spesso era difficile interpretare alcune parole. A pensarci adesso sembra tutto così banale eppure non sono passati tantissimi anni!
I libri erano di genere vario, i più disparati: dai romanzi ai trattati scientifici, alle biografie, alle antologie e spesso capitava che ci si appassionasse all’argomento cercando di seguire il discorso o la trama.
Quando nel 1969 mi sono trasferito a Bologna ho subito trovato un lavoro da linotipista e ho continuato lavorando a leggere dei libri. Un periodo abbiamo lavorato per la casa editrice Il Mulino e spesso le pubblicazioni, anche se ostiche, erano molto interessanti. In una di queste letture ho conosciuto il politologo Giorgio Galli e mi sono appassionato ai suoi scritti. L’ho ritrovato opinionista su «Panorama» e sono stato per molti anni suo fedele lettore. Ritagliavo dalla rivista la pagina con il suo articolo e ancora li conservo! Dovevo essere così coinvolto da parlarne spesso che mia moglie (allora la mia fidanzata) come regalo di San Valentino mi regalò un suo libro.
Continuavo a leggere nel lavoro ma soprattutto nella vita. Mi ero avvicinato alla politica e leggevo quotidiani e riviste! La televisione aveva preso piede già da diversi anni ed era diventata un formidabile strumento di informazioni!
Anche in tipografia era entrata prepotente l’elettronica con la fotocomposizione prima (diatronic, compugraphic, berthold, ecc.) e poi con il computer.
Ho vissuto, con entusiasmo, tutti i passaggi convertendomi di volta in volta alle nuove tecnologie. I testi non arrivavano più manoscritti o dattiloscritti ma gli autori digitavano i testi e ti mandavano i file da impaginare. La linotype era entrata nei libri di storia o faceva bella mostra in qualche museo.
I libri sono sempre più belli e pieni di colori e di foto (per i contenuti non so giudicare!). A me è rimasta intatta l’emozione di vedere un libro stampato!

Alcune pagine del mio libro fotografico “Uno sguardo sul mondo”. Chi fosse interessato può contattarmi

© Testi e foto di Salvatore Lumia – Riproduzione riservata

Viaggio in Nepal: una giornata speciale…

Viaggio in Nepal e visita al Chitwan National Park. Nel programma di viaggio le promesse erano: «attività di birdwatching “a caccia” delle circa 276 specie di uccelli presenti e la visita agli elefanti nei loro habitat per conoscere le abitudini e la vita di questi animali. Escursione in canoa e passeggiata a dorso di elefante per esplorare la giungla e la fauna selvatica, con la speranza di vedere nel loro habitat il rinoceronte cornuto, diversi tipi di cervi, scimmie, cinghiali, bisonti, orsi, leopardi e, se fortunati, la tigre reale del Bengala». In realtà sono cose che si scrivono per attirare i turisti che solo ipoteticamente potrebbero verificarsi. Prima del viaggio, in l’Italia, ho pensato a quanto sarebbe stato emozionante fotografare la “tigre del Bengala” ma anche gli orsi, i leopardi, il rinoceronte cornuto, ecc. Nella realtà la tigre non c’era e non c’erano neanche tutti gli animali promessi. Di avventuroso c’è stato il fatto che l’elefante su cui viaggiavamo si è imbizzarrito e abbiamo corso il rischio di essere disarcionati.
Eppure questa due giorni è stata per me indimenticabile… Una cosa che non aveva avuto l’onore di essere citata nel programma di viaggio è stata una di quelle che, nel mio ricordo, è rimasta più vivida! La visita ad un villaggio all’interno del parco con la possibilità di entrare in contatto con persone umili ma accoglienti. Le loro case erano, per lo più, capanne costruite con paglia e fango, composte quasi sempre da un monolocale con al centro il letto; eppure erano piene di vita e di dignità. I bambini giravano per casa scalzi e facevano colazione attingendo del riso da una ciotola. Le donne facevano i lavori, per lo più fuori di casa. I loro visi consumati dal tempo e dalle intemperie erano belli e pieni di vita. Una donna stava seduta davanti casa con i piedi scalzi e gli occhi perduti ad inseguire i suoi pensieri. Mi ha sorriso dolcemente quando gli ho chiesto se potevo fotografarla ma non si è mossa. Ho maledetto l’ostacolo della lingua, avrei voluto parlare con lei, cercare di capire da che cosa veniva la sua serenità e invece ho scattato alcune foto che, riguardandole, mi danno la possibilità di rifarmi le stesse domande!

© Testi e foto di Salvatore Lumia – Riproduzione riservata

Le origini della fotografia: Alfred Stieglitz

Qualche anno fa sulla rivista “Progresso Fotografico” ho letto un articolo che mi ha molto colpito e mi ha fatto riflettere sul ruolo della fotografia e sulle emozioni che essa provoca e che, a maggiore ragione, provocava quando scattare fotografie era molto più complicato.
Alfred Stiglitz, all’inizio del 1907, viaggiava con la famiglia dall’America verso l’Europa sulla nave Kaiser Wilhelm II, una nave molto alla moda a quei tempi. Viaggiava in prima classe ma viveva con disagio l’atmosfera che vi si respirava. Se ne stava per lo più appartato finché al terzo giorno decise di fuggire da quella compagnia e se ne andò sul ponte più lontano. Quando si fermò guardò sotto.
C’erano tanti uomini, donne e bambini che si affollavano e fu colpito da un uomo con un cappello di paglia di forma rotonda che guardava il ponte inferiore. «L’intera scena mi affascinava. Desiderai vivamente di scappare da ciò che mi circondava ed unirmo a questa gente. Un rotondo cappello di paglia, la ciminiera sulla sinistra, la scala a destra, la passerella con la ringhiera a catene di anelli, bianche bretelle che si incrociavano sulla schiena di un uomo sul ponte inferiore, rotonde forme di macchinari in ferro, un gruppo di persone che si stagliava contro il cielo creando una forma triangolare. Rimasi incantato a lungo, guardando e guardando… Vidi forme in relazione fra di loro. Vidi un’immagine di forme che erano recondite in quel sentimento della vita che io sentivo», ha scritto Stieglitz.
All’improvviso ebbe il desiderio irrefrenabile di fotografare la scena. Corse nella sua cabina per prendere la macchina fotografica e tornò indietro con il terrore che la scena che aveva vista si fosse dissolta e che l’uomo con il cappello di paglia non fosse più al suo posto. Invece la scena era rimasta come l’aveva vista. Aveva a disposizione un solo telaio con una lastra. «Sarei riuscito a catturare quello che vedevo, quello che sentivo? Infine schiacciai l’otturatore. Il mio cuore batteva; mai prima di allora lo avevo sentito battere così furiosamente». Sviluppò la lastra al suo ritorno a New York quattro mesi più tardi. Fece vedere la sua foto (The Steerage) al suo amico Joseph T. Keiler che esclamo: «Ma ci sono due immagini qui, una sopra e una sotto».
Stieglitz non disse nulla ma capì che non aveva visto la scena come l’aveva vista lui. Per un po’ esitò a mostrare la foto fino a quando non fu pubblicata su Camera Work e a questo punto lo stupore fu grande.
La fotografia può nascere per caso? Un signore snob annoiato decide di abbassare lo sguardo con la giusta predisposizione di spirito attratto dalla “forma” che andava cercando. Eppure con la sua immagine la fotografia entra in un’altra dimensione. Aveva avuto ragione il suo amico Keiler quando aveva affermato di aver visto due fotografie una sopra e una sotto! Per la storia della fotografia The Steerage è l’evoluzione, indietro non si potrà tornare…

Esperimenti fotografici al tempo del Coronavirus

Durante il lockdown dello scorso anno che ci ha tenuti chiusi in casa per mesi, come molti ho dovuto riorganizzare la mia vita e, naturalmente, anche la fotografia alla quale dedico molto del mio tempo libero. Le belle giornate primaverili facevano venire voglia di uscire con la macchina fotografica ma non era possibile ed allora bisognava inventarsi qualcosa che tenesse, in qualche modo, viva la passione. C’è sempre l’archivio e la catalogazione visto che non si è mai in pari. L’archivio ha il problema che a lungo andare diventa noioso e in ogni caso non è fare fotografie. Allora mi sono organizzato, sinceramente senza un’idea precisa, ed ho provato a fare degli “esperimenti fotografici”. L’esperimento constava della fotografia vera e propria ma anche della post-produzione e qui c’era veramente da sbizzarrirsi e venivano fuori effetti veramente inaspettati. Non è la fotografia che preferisco ma in tempo di Covid può andar bene lo stesso.
Lascio parlare le fotografie…

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